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Vendita on-line di un prodotto mai posseduto:

Legittimo parlare di truffa?

17.4.2023













La Corte di Cassazione , II° Sez. Pen., con la Sentenza n. 13705 del 31.3.2023 si è espressa in materia di “delitti contro il patrimonio”.

La fattispecie in narrativa riguarda la vendita on-line di uno scanner, da parte di un alienante che, in realtà, non hai mai posseduto suddetto prodotto, nei confronti di un acquirente convinto di entrare in possesso del suddetto bene al termine della compravendita.

In primo grado il venditore viene ritenuto colpevole del reato di truffa.

In secondo grado, invece, i giudici optano per una pronuncia di assoluzione, spiegando che il venditore non ha posto in essere né artifici né raggiri, avendo fornito al compratore esatti estremi identificativi della sua persona, così consentendo la propria agevole individuazione; senza dar conto che il compratore è rimasto a mani vuote dopo aver pagato il prezzo pattuito per lo scanner. Pronta la reazione della Procura, che presenta ricorso in Cassazione, opponendo la tesi che la messa in vendita sul web di un bene, da parte di un soggetto che originariamente è consapevole dell’impossibilità di adempiere l’impegno assunto, è condotta idonea a perfezionare il reato di truffa.

Gli Ermellini chiariscono il principio secondo cui il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità d'esecuzione del contratto, rispetto a quelle inizialmente concordate, con condotte idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto, integra l’elemento degli artifici e dei raggiri richiesti per la sussistenza del reato di truffa; di conseguenza, colui che pone in vendita on-line un bene, ingenera la legittima aspettativa del potenziale compratore circa l’esistenza del bene stesso, quindi, se in realtà non è mai stato posseduto, ciò rappresenta una condotta truffaldina.

L’elemento, che imprime all'inadempienza il carattere di reato è costituito dal dolo iniziale, che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti, falsandone il processo volitivo, rivela la natura ingannatoria del contratto; essendo irrilevante il fatto che il venditore abbia fornito al venditore le proprie esatte generalità e gli abbia indicato una carta a sé intestata per il pagamento.

La Corte di Cassazione, pertanto, accoglie il ricorso.

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